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Cassazione penale, il cane è legato sotto il sole? Il proprietario rischia la condanna per maltrattamenti

Rilevante l’assenza di acqua e il rischio di un colpo di calore

Fioccano le multe ai padroni di cani lasciati esposti al sole senza possibilità di muoversi, a cercare l’ombra, perché legati a una catena. Può costare caro, infatti, legare il cane sotto al solo, anche se per poche ore. Rischia infatti una condanna chi lo mette a catena, tanto più senz’acqua e facendogli rischiare un colpo di calore. È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 33276 del 29 agosto 2024 della terza sezione penale, ha respinto il ricorso di una donna che aveva legato alla ringhiera e sotto il sole il cane del vicino. In sentenza viene ricostruito che il Tribunale di Sassari ha ritenuto accertato che la ricorrente lasciò il cane pastore tedesco di proprietà della parte civile legato alla ringhiera dell’edificio nel quale quest’ultima abitava, al sole e per circa due ore, senza accertarsi che vi fosse qualcuno che in attesa dell’arrivo del proprietario potesse prendersene cura (in particolare la badante del padre della parte civile presso il quale quest’ultimo dimorava dopo la separazione dalla ricorrente); il cane venne trovato in stato di ipertermia e con la frequenza respiratoria piuttosto alta (98 contro i 30 normali) e si riprese con una assistenza minima, con una doccia fredda, dopo circa 15 minuti. Tale condotta, anche sulla base di quanto riferito dalle persone che avevano notato l’animale legato e che lo avevano soccorso su richiesta del proprietario è stata ritenuta causa di uno stato di sofferenza da abbandono per l’animale e anche del rischio di riportare serie conseguenze a causa della esposizione al calore, con la conseguente affermazione della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 727, secondo comma, cod. pen. Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno spiegato che “Si tratta di conclusioni che sono state adeguatamente giustificate, sulla base di una analitica ricostruzione delle risultanze istruttorie, con argomenti non manifestamente illogici, essendo stato sottolineato lo stato di sofferenza e di ipertermia dell’animale, tale da consentire di ravvisare la detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze, e dunque configurabile la contravvenzione di cui all’art. 727, secondo comma, cod. pen., posto che costituiscono maltrattamenti, idonei a integrare il reato di abbandono di animali, non solo le sevizie, le torture o le crudeltà caratterizzate da dolo, ma anche quei comportamenti colposi di abbandono e incuria che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali quali autonomi essere viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore come alle attenzioni amorevoli dell’uomo”. I giudici, confermando l’orientamento prevalente, hanno ritenuto responsabile il soggetto anche in assenza della volontà d’infierire sull’animale o di lesioni, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti. Finalmente, dunque, una sentenza di condanna che non può rendere giustizia delle centinaia di episodi di abbandono e maltrattamento che restano impuniti. Le pene in Italia per i reati in danno degli animali, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” sono ancora troppo lievi e non possono essere considerate un deterrente.

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