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Castelli e fortificazioni in Abruzzo dal VI al XVI secolo

di Gabriella Izzi Benedetti *

Le ragioni che hanno determinato in Abruzzo una così grande quantità di castelli e fortificazioni sono in prevalenza riferite alla sua configurazione: l’aspetto geografico montuoso e accidentato non ha favorito il formarsi di grossi agglomerati urbani, impedendo il determinarsi di una difesa centralizzata, sicché piccoli e medi centri si  frantumarono in una miriade di piccole roccheforti; e poi il fatto che per secoli l’Abruzzo è stata terra di confine e come tale bisognosa di una ricca tessitura difensiva. Non dimentichiamo le innumerevoli valli, gole; i passi, i boschi, di cui la regione è dotata, tutti luoghi infidi. Il castello fortezza di Civitella del Tronto, a confine con le Marche è la più straordinaria espressione difensiva dei confini, la più importante del centro sud Italia, e in linea con le migliori d’Italia, con una superficie di 25.000 mq. Di stile rinascimentale fu l’ultimo baluardo della resistenza borbonica contro i garibaldini. Capitolò tre giorni dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia.

Questo insieme di fattori rese l’Abruzzo di più difficile accesso e solo dal VI secolo si assiste da parte dei Goti alla distruzione delle poche città esistenti e delle strutture difensive. La gente fuggì, il bosco si sostituì alle zone coltivate, i grandi pascoli si frantumarono, la transumanza subì un arresto, le strade divenute impraticabili crearono una situazione di stallo con grave danno economico. Ma tra le motivazioni non può mancare l’essere l’Abruzzo anche zona rivierasca e come tale esposta a incursioni piratesche, tentativi di invasione stabile via mare da parte di popolazioni orientali, pensiamo all’espansionismo islamico. Ecco dunque che già dal VII secolo troviamo torri, incastellamenti a livello marino, o in zone paludose e boscose specie a nord e in entroterra collinari non distanti.

L’Italia per circa mille anni pagò il disfacimento dell’Impero romano e questo ancor prima della sua caduta ufficiale (476 d. C.). I barbari si sentirono liberi di saccheggiare, distruggere, creare nuove strutture. I bizantini si reputarono, specie a sud, i veri depositari dell’eredità romana; e poi Arabi, drappelli di guarnigioni romane irriducibili ad accettare la nuova realtà, Longobardi, Saraceni. In seguito sarà la volta di Franchi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, per finire con le grandi lotte di potere tra Francia e Spagna, i vari domini germanici e ci fermiamo qui. In questo arco di tempo le strutture fortificate assumono un ruolo centrale. Ha origine il fenomeno dell’incastellamento che include non solo il castello di tipo classico, ma ogni tipo di fortificazione a scopo difensivo o di contrattacco.

Il castello è condizione insostituibile in un’epoca in cui popolazioni allo sbando trovano in esso possibilità di sopravvivenza. Castello dal latino castrum, accampamento militare di grandi proporzioni. Siamo di fronte a un nuovo ciclo storico.  Il castello, circondato da profondi fossati le cui sponde erano collegate dal ponte levatoio, possedeva ripari rettangolari, i merli, muniti di feritoie molto piccole dalle quali era possibile colpire i nemici con scarsissima probabilità di essere a loro volta colpiti, e poi saracinesche, piombatoi, passaggi segreti, e nei sotterranei le segrete, cioè prigioni. Nel castello confluivano le popolazioni circostanti all’affacciarsi di un pericolo, mettendo al sicuro in appositi silos, i raccolti. L’economia curtense è questa: vivere di una economia autonoma. All’interno della corte, organismo giuridico ed economico, si compiva il ciclo della produzione e dello scambio, si svolgeva l’attività amministrativa sotto la protezione di un capo unico fornito di immunità tributaria e giurisdizionale.

Nella parte alta del castello abitavano il feudatario e i più alti capi militari; in quest’area troviamo l’armeria e il tesoro. Il resto della guarnigione militare, la servitù e altre presenze vivevano ai margini del castello munito di cinte di mura concentriche o esagonali, interrotte spesso da torri fortificate. Non mancava della spaziosissima corte la chiesa il cui campanile svolgeva la stessa funzione delle torri d’avvistamento. Gli abitanti delle cinte più esterne erano soggette, forse perché meno controllabili, a uno speciale giuramento di fedeltà. Le fortificazioni fanno invece parte di un’ampia gamma di strutture, poste in genere in luoghi alti, in modo da abbracciare un ampio orizzonte, lontane da vie consolari e percorsi più noti. A volte gruppi di fortificazioni si univano creando città fortificate che presero il nome di cerchie o contee.

Quella più famosa in Abruzzo, ma anche esempio raro in Italia fu la città dell’Aquila, sorta dall’unione di 99 castelli; ma su questo dato non esiste certezza storica.  Oltre alle torri di genere difensivo, come le fortezze che privilegiavano luoghi pianeggianti, vicinanza di fiumi o laghi, esistono i borghi fortificati, le terre-mura, le rocche. I castelli in Abruzzo non cambiano di molto la propria struttura con l’avvicendarsi di dominazioni, anche per il sovrapporsi di stili dovuti a distruzioni e ricostruzioni; ma c’è una particolare tipologia tutta abruzzese (due esemplari si trovano solamente in Umbria) e sono i castelli recinto o castelli pendio. Creati con grande intelligenza conciliavano sicurezza e tranquillità di lavoro all’esterno dell’abitato.

Ubicati con alle spalle uno strapiombo impraticabile, in luoghi dotati di un pendio anche ripido e di un fondo vallivo il più possibile vicino da adibire a pascolo e agricoltura, si prolungava oltre il recinto con un borgo collocato nel pendio fronteggiante la valle, con in vetta un’altra torre di avvistamento, il puntone rivolto verso lo strapiombo non abitato, sicché il nemico era avvistato immediatamente. Al suono del corno tutti gli abitanti e il bestiame abbondavano il borgo rifugiandosi nel castello dove era custodito il raccolto assieme a ciò che di prezioso aveva la popolazione. In tal modo si poteva resistere per mesi. Un esempio tra i più antichi è quello del castellodi Beffi, nelle vicinanze dell’Aquila; rimangono la torre alta più di 100 metri, cinte murarie, feritoie, edifici interni ristrutturati, grotte e terrazzamenti. I resti della fortificazione si trovano ai piedi del paese, presso il fiume Aterno.

Ne troviamo a Barisciano con pianta quadrangolare, a San Pio, realizzato in più tempi, a Pereto, a Montegualtieri con torre triangolare d’avvistamento, e non solo. Il castello pendio di Introdacqua, ha una torre cintata ancora in ottime condizioni. Il mutamento politico irreversibile avvenne con i Longobardi che crearono un nuovo assetto in grado di offrire stabilità di dominio. Stanziatisi nelle regioni nordiche intorno al 571, discesero a sud già in parte integrati con le popolazioni; convertitisi al cristianesimo, rispettarono la parte di territorio “di san Pietro”, di pertinenza papale; penetrarono nell’area interna centro meridionale dando origine al ducato di Spoleto a nord e di Benevento a sud. L’Abruzzo ne fece parte: a nord fu incluso nel ducato di Spoleto, a sud in quello di Benevento; il fiume Sangro ne delimitava i confini.

Di nuovo Abruzzo terra di confine. I raggruppamenti di famiglie in borghi detti Fare vennero muniti di difese incluse in grandi contee e gastaldati abitati da feudatari così potenti che spesso erano in grado di sconfiggere nemici esterni, ma non di controllarsi l’un l’altro, il che li indebolì politicamente, ma non incise sull’economia, avvantaggiatasi della stabilità di dominio. Vennero riutilizzati percorsi sconnessi della viabilità romana e preromana presenti specie in zone montuose e vennero create le basi per la più importante strada che da Firenze raggiungeva Napoli, la via degli Abruzzi, intersecando la regione dotata di 11 fortificazioni che rendevano sicuro il tragitto, dando modo all’Abruzzo di riprendere l’esportazione delle sue maggiori ricchezze quali lana zafferano, prodotti caseari. La produzione di olio e grano appartenente a zone collinari o costiere usufruiva di trasporti marittimi specie verso Puglie, Marche e Veneto. Venne riattivata la transumanza con i benefici che conosciamo. Nella complessa realtà medievale un ruolo determinante è quello della Chiesa nel bene e nel male; ma bisogna riconoscerle l’enorme ruolo civilizzatore e quello difensivo.

In questo le Pievi (dal latino plebs popolo, pievi rustiche) furono risolutive. Situate spesso lungo i percorsi tratturali, oltre ad assolvere funzioni religiose e proteggere, mettevano al sicuro i raccolti, amministravano la giustizia. La loro importanza decadde con l’avvento dei grandi monasteri Benedettini, (in Abruzzo tra monasteri, monasterini e celle se contavano 300), dotati di spazi agricoli propri, grandi strutture, tra cui quelle di ospitalità e cura; erano luoghi sicuri. Divennero in più d’un caso feudi di tipo ecclesiastico, temibili concorrenti del potere feudale laico, godendo fra l’altro di benefici e garanzie particolari; sicché a molti nobili, specie se di ramo cadetto, convenne entrare nello stato ecclesiale. Tra i due poteri s’istaurò una complessa tessitura di alleanze e inimicizie.

Anche dei castelli longobardi troviamo testimonianza nella zona della Marsica, del Fucino: Pescina, Navelli, Torre della Fara, Rapino, Gessopalena, e altrove. La loro stabilità di domino concorse all’impulso verso scambi commerciali ad ampio raggio. In quel periodo i Saraceni iniziarono ad assediare le coste e fu indispensabile arricchirle con torri d’avvistamento, castelli verso l’interno e borghi fortificati. Ma verso l’XI secolo ai Longobardi si sostituirono i Normanni giunti come mercenari, fuggendo dalla Normandia dove l’incremento demografico creava difficoltà di vita. Astutissimi, basti pensare a Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo (o Terror Mundi), in breve si impossessarono di tutte le terre fino al Tronto, si convertirono al cristianesimo avendo così il riconoscimento giuridico pontificio.

Da questa nuova situazione politica l’Abruzzo venne aggregato al meridione fino alla unità d’Italia. Lo stato venne diviso in contee e baronie; si cercò di centralizzare il potere inserendo i castelli all’interno delle città. I Normanni crearono un loro modo di costruire torri su base quadrata, alte, prive di scarpata troviamo qualche esempio nella zona della Marsica, del Fucino, come, tra le altre, in Pescina, Navelli, Popoli, Roccaspinalveti. Tra gli aspetti positivi del dominio normanno ci fu il cambio di mentalità: il territorio non più visto come miniera da sfruttare. Ma un bene da valorizzare e tramandare. Diedero anche impulso alle arti e vennero create molte abbazie e cattedrali. A loro si deve il consolidamento attraverso l’Appennino della via degli Abruzzi che da Napoli a Firenze creava una continuità di scambi con il resto dell’Europa.

Il passaggio dal loro dominio a quello svevo fu indolore, con il matrimonio dell’ultima Altavilla, Costanza, data il sposa al figlio dell’imperatore svevo Federico Hohenstaufen, Enrico VI. Nonostante la fedeltà normanna al Papa (Costanza era sotto sua tutela) i rappresentanti dell’impero e del papato erano storicamente in collisione. Sorvolando sulle note storiche, i castelli svevi vengono definiti federiciani in quanto fu Federico II personaggio d’intelligenza e apertura mentale straordinaria, che diede incremento alla cultura, a opere di ingegneria, modificando fra l’altro il sistema di realizzazione dei castelli costruiti fino ad allora con l’adattarsi alle condizioni del terreno. Invece i castelli federiciani hanno un’articolazione indipendente dal terreno; venivano scelti luoghi adatti non solo strategicamente ma territorialmente, ispirandosi agli impianti difensivi arabi e bizantini. Hanno una regolarità matematica, si articolano su pianta quadrata con quattro ali munite di torri poligonali o cilindriche, in corrispondenza degli angoli. Ne abbiamo esempi: Rocca Calascio, Castel Manfrino costruita dal figlio di Federico, Manfredi, Tagliacozzo e altri. Come sappiamo gli Angioini, invitati dal papa, essendo di parte guelfa e dunque fedeli alla Santa Sede discesero alla conquista del territorio, dopo la morte di Federico II (1250), e riuscirono. In breve in Abruzzo i feudatari divennero tutti francesi, eccetto una piccola schiera autoctona tra cui i Valignani di Chieti e gli Acquaviva di Atri. I castelli angioini non si discostarono molto da quelli svevi ma prevalse l’uso delle torri cilindriche aumentate di dimensioni, venne abbassata per sicurezza la torre centrale, si munì la sommità delle torri con merli, beccatelli, caditoie; in Abruzzo ne reperiamo a Palmoli, Bussi, Bominaco, Crecchio, Vasto, Ortona, Carsoli e poco d’altro. Anche il regno angioino durò poco, le lotte di conquista lunghe e complesse portarono nel 1504 Luigi XII di Francia a cedere il regno dei d’Angiò alla Spagna. Ma, a causa dell’intrecciarsi di parentele i vari sovrani incominciarono a reclamare diritti.

L’Italia divenne un campo di battaglia e grande fortuna raggiunsero i capitani di ventura; in Abruzzo fra gli altri Braccio da Montone, Muzio Attendolo Sforza, Jacopo Caldora. Quest’ultimo, in uno slalom tra i vari contendenti riuscì a possedere castelli, in zona Fucino, a Vasto, ad Archi e altrove. Intanto il modo di fare guerra cambiava velocemente con l’uso della polvere da sparo, che tra il XV e il XVI secolo trasformò lo scenario bellico. Fu possibile a distanza l’annientamento di formazioni di fanteria. Il mortaio da assedio venne rimpiazzato col cannone da campo a canna liscia che colpiva la fanteria avversaria prima di ingaggiare un combattimento corpo a corpo. Si trattò di una vera rivoluzione.

In questo nuovo modo di difendersi si cercarono alternative architettoniche e gli architetti toscani spiccano come Giorgio Martini, i Sangallo e soprattutto Michelangelo. L’ultima immagine del castello fortificazione è quello rinascimentale a pianta quadrata, con quattro bastioni agli angoli e le mura che vanno da bastione a bastione. Il castello dell’Aquila ne è tipico esempio come quello di Casoli. Nei secoli seguenti divennero luoghi residenziali di nobili e re come a Tocco Casauria o Balsorano. I castelli sono ormai parte del nostro passato, ma continuano ad attrarci come tutto ciò che stimola la fantasia. Il periodo romantico ne esaltò quanto di misterioso, avventuroso, eroico e poetico emanavano.  Ma, purificati dal tempo, racchiudendo in sé l’essenza stessa dell’umanità con quanto di bene e di male, tenero e crudele è in essa, continuano a sedurci con il loro fascino emblematico.

*Presidente Società Vastese di Storia Patria

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