14 Gen 2025
Esce il libro ARCHITETTURA – LA BELLEZZA FUNZIONALE di Donato Di Poce
Donato Di Poce (Poeta, Aforista e Critico d’Arte) autore poliedrico e “CreAttivo” è stato definito non a caso da Sergio Dangelo “Poeta dell’Arte” sulla scia di Apollinaire, Breton, Villa, Schwarz, Bonnefoy”.
Infatti, non solo è autore di una trilogia poetica dedicata all’arte e agli artisti: “La Biblioteca del Vento, Campanotto Editore, Udine, 2021, Atelier d’Artista, I Quaderni del Bardo Edizioni, Lecce, 2020, Ut Pictura Poesis, Dot.com Press, Milano, 2017”, ma ha pubblicato 15 libri di Critica d’Arte e Monografie tra cui: Rinascimento: La danza delle idee, I Quaderni del Bardo, Lecce, 2022 e il recente STREET ART Vandali o Artisti?, I Quaderni del Bardo Edizioni, Lecce, 2024”.
Il libro è un saggio storico-critico che contiene oltre al Manifesto della Bellezza Funzionale , una panoramica dei movimenti, idee e poetiche dell’Architettura Contemporanea, ritratti di alcuni maestri amati dall’autore, l’analisi di alcune opere iconiche di fama mondiale, illuminanti aforismi sull’Architettura, i bellissimi disegni e una postfazione dell’Architetto Alfredo Vacca che scrive tra l’altro: “…Da questo connubio stretto tra il poeta Di Poce e la passione per l’architettura nasce il suo saggio storico, una serie di domande cui tende a dare delle risposte, un percorso frammentato che, quasi a ricalcare le domande che Walter Benjamin si era poste per la poesia, si dipana su diversi sentieri tortuosi costellati di edifici icone e dei loro architetti-poeti, senza porsi alcun tipo di problema se tra le opere architettoniche richiamate ci fossero o meno delle relazioni e se il loro linguaggio prendesse riferimento dalle forme della letteratura architettonica…”
(Dalla prefazione dell’Arch. Giovanni Fontana)
“…Donato Di Poce, con questo libro, lancia il suo appassionato segnale personale, che certamente non pretende di risollevare le sorti del mondo, ma invita, sia pure nell’ambito specifico dell’architettura, a guardare la realtà in positivo, per afferrarne i segnali che contano. In prima battuta si pone nell’ottica dell’Arte Totale, che oggi ovviamente trascende la visione wagneriana e, nello stesso tempo, acquista un altro senso rispetto a quello prefigurato nell’epoca delle avanguardie storiche. A distanza di tanti decenni, sia pure nel quadro dell’odierno incessante progresso delle tecnologie, la visione che ancora regge è quella inquadrata teoricamente da Adriano Spatola[1], che pur partendo dalla specificità del suo mondo poetico, risulta funzionale alla generalità dei processi creativi, unitamente agli strumenti messi a disposizione da un altro benemerito della ricerca artistica, Dick Higgins, al quale si deve il concetto di intermedialità,[2] oggi, a distanza di circa sessant’anni, cardine insostituibile della ricerca artistica attuale.
Nella visione totalizzante di Donato Di Poce si fa riferimento all’approccio etico, socialmente responsabile, ecosostenibile, sensibile verso la storia e rispettoso della memoria, fondamentalmente democratico e, perciò, in grado di porre l’uomo al centro del progetto in uno spirito che egli definisce neo-rinascimentale. In sostanza l’autore aspira ad una visione olistica al centro della quale viene considerata quella che è definita, con altro neologismo, «Energia CreAttiva». I modelli cui Di Poce fa riferimento per la sua speculazione poietica sono grandi maestri, che egli definisce come «i miei Architetti preferiti»: Eero Saarinen, Friedensreich Hundertwasser, Frank O. Gehry, Zaha Hadid, Jean Nouvel, Santiago Calatrava, Daniel Libeskind e Renzo Piano. …
…Ma il nodo delle riflessioni, delle aspirazioni e delle prospettive lo troviamo nel singolare «Manifesto della Bellezza Funzionale» che impegna il primo capitolo di questo libro. Ho usato l’aggettivo «singolare», perché, contrariamente a quanto è sempre accaduto nei movimenti d’avanguardia e nei gruppi di ricerca e sperimentazione, non costituisce il documento programmatico dell’operatore che intende affrontare in modo nuovo, con tecniche e prospettive alternative, il suo lavoro, magari anche rivoluzionandone le metodologie; bensì è dettato a gran voce da un poeta, che, pur avendo in genere interessi artistici in senso lato, non svolge la professione di architetto. Come considerare allora questo documento? Se non è una piattaforma valida in sede di operatività individuale, in quale chiave dobbiamo leggerlo? Certamente assume un valore critico e si pone come strumento di riflessione teorica; ma nello stesso tempo, a parte la generica funzione culturale svolta nei confronti di un’audience non definita, è da leggere come un appello rivolto dall’esterno verso il mondo dell’architettura, in tutte le sue componenti tecniche e non. Ecco, allora, che la voce del poeta è da ascoltare come parte integrante di un ampio coro, di cui dovranno far parte non solo gli addetti ai lavori, quelli che sul piano strettamente tecnico provvedono alle varie fasi progettuali ed esecutive, ma anche coloro che dall’esterno hanno diritto di parola, se non altro perché al centro delle fasi compositive e realizzative deve essere sempre posto l’Uomo, fulcro di un processo democratico, partecipato, finalizzato alla configurazione di un ambiente dove etica e socializzazione procedano in sintonia perfetta con funzionalità, ecosostenibilità e sensibilità estetica, in un’ottica rigorosamente olistica…
…La profilatura della figura di questo nuovo poietes, l’«Architetto», è coronata dagli aforismi che Donato Di Poce pone in appendice. Uno di questi recita: «I cassetti degli Architetti / Sono come quelli dei poeti / Sempre pieni di sogni futuri». In un altro si legge «Gli Architetti realizzano sogni». Possiamo dire, allora, di poter dormire sonni tranquilli?”
(Dalla Postfazione dell’Architetto Alfredo Vacca)
“…Un’ultima nota (anche se potrebbe essere la prima): il Di Poce ha scelto non a caso come immagine di copertina il Nationale-Nederlanden Office Building a Praga di Frank O. Gehry – Vlado Milunić, del 1992-96, più conosciuto con il soprannome di “Ginger e Fred”, un’immagine che per me assume una doppia valenza simbolica, la prima è quella di una architettura di libertà e la danza di un popolo che ha appena conquistato la democrazia; la seconda, è quella di un edificio magico che si raccorda in continuità con la Praga magica tardobarocca e le sue pieghe leibniziane. Una città conservatasi pressoché intatta e così ben descritta da Angelo Maria Ripellino, sopravvissuta al regime comunista e all’invasione sovietica del 1968: “La musica dell’architettura barocca della città vltavina, è un inesausto discanto di forme convesse e concave”, e che poi non è altro che la stessa Praga dei Frammenti di Franz Kafka: “…per ciò che riguarda l’architettura, non c’è differenza tra un’epoca e l’altra, da moltissimo tempo valgono le stesse regole architettoniche…”. Un saggio–guida, quello di Ripellino, denso di curiosità un po’ come potrebbe essere considerata quest’opera del Di Poce: un saggio-guida, altrettanto curioso e appassionato, sull’architettura poetica.”
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